Il principio di forza maggiore ai tempi del coronavirus (CoViD-19)
Il principio di forza maggiore non è contemplato, specificatamente, in nessuna norma dell’ordinamento italiano. Non esiste una definizione precisa né è possibile indicare una norma ad hoc che lo preveda. Esso è citato in alcune norme del Codice Civile fra le quali ad esempio l’art. 1467 il quale riconosce, nei contratti con prestazioni corrispettive, al debitore la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto nel momento in cui la prestazione da lui dovuta sia diventata eccessivamente onerosa per fatti straordinari ed imprevedibili, estranei alla sua sfera d’azione.
Nella prassi internazionale, avvenimenti “straordinari ed imprevedibili” sono definiti come causa di forza maggiore (esempi di ciò sono i terremoti, gli uragani, le guerre, le ribellioni, etc..). Tali esempi sono sicuramente validi anche per l’ordinamento interno ed a nostro sommesso avviso anche il CoViD-19 integra la causa di forza maggiore per tutti i contratti in essere o stipulati prima della sua scoperta con le conseguenti restrizioni normate dal Governo nazionale e dalle Regioni. Sul punto, tuttavia, torneremo in seguito perché al momento giova evidenziare che contrariamente a quanto previsto dall’ordinamento interno, a livello internazionale esistono testi normativi nei quali è diffusamente delineata la fattispecie della forza maggiore in particolare la Convenzione sulla vendita internazionale dei beni mobili (la cosiddetta Convenzione di Vienna del 1980, entrata in vigore nel 1988) che, all’art. 79, comma I, individua le tre caratteristiche principali che devono essere presenti affinché la clausola di forza maggiore possa trovare concreta applicazione: 1) l’estraneità dell’accadimento dalla sfera di controllo dell’obbligato; 2) la non prevedibilità dell’evento al momento della stipulazione del contratto; 3) l’insormontabilità del fatto impedente e dei suoi esiti. Tale Convenzione è stata sottoscritta da ben 93 Paesi tra i quali si annoverano: a) nell’ambito dell’Unione Europea quasi tutti gli Stati membri con l’eccezione di Portogallo e Malta nonché del Regno Unito e dell’Irlanda che oggi non fanno più parte dell’Unione; b) all’esterno dell’Unione quasi tutti gli Stati che intrattengono i maggiori rapporti commerciali con l’Italia quali, ad esempio, Stati Uniti, Australia, Canada, Cina Russia, Giappone e Brasile. Ai sensi dell’art. 1 è previsto che la Convenzione si applichi, salvo patto contrario (l’esclusione deve essere espressa) ai contratti di vendita fra parti aventi sedi d’affari in Stati diversi quando tali Stati sono Stati contraenti della Convenzione. In ambito internazionale, pertanto, riteniamo che il CoViD-19 possa essere invocato quale causa di forza maggiore quale impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione, se definitiva, o che esonera da responsabilità per il ritardo, se temporanea, in applicazione dell’art. 79 della Convenzione di Vienna. Nell’ambito dell’ordinamento italiano, invece e come abbiamo già riferito, non esiste una norma che definisca il concetto di forza maggiore. Tale concetto, tuttavia, è stato delineato in giurisprudenza. A tal proposito merita di essere citata la sentenza n. 965 della Cassazione Penale, Sezione V, 28 febbraio 1997, nella quale viene sancito che può essere considerata come situazione appartenente alla categoria di forza maggiore solo “quell’evento che impedisca la regolare esecuzione del contratto e renda, inoltre, inefficacie qualsiasi azione dell’obbligato diretta ad eliminarlo”. La Suprema Corte precisa, inoltre, che “l’accadimento impedente non deve essere dipeso da azioni od omissioni del debitore”. Affinché, dunque, l’inadempimento, sia pure temporaneo, sotto forma di ritardo possa essere giustificato dalla causa di forza maggiore è necessario che l’evento sia caratterizzato dalla straordinarietà e dalla imprevedibilità nel senso che un accadimento che con l’uso della normale diligenza e conoscenza media può essere previsto al momento della stipulazione del contratto non rientra nella categoria della forza maggiore. Tale concetto è stato più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità e di merito. “Non può considerarsi impossibile una prestazione che, per la mancanza della previsione di un termine, può ancora essere eseguita. D’altra parte può invocarsi la sopravvenuta impossibilità della prestazione qualora la circostanza sopravvenuta rivesta i caratteri della assolutezza e della oggettività e non sia prevedibile al momento del sorgere dell’obbligazione” (Cass. Civ., Sez. II, 02 ottobre 2008, n. 24534). “Con riferimento al profilo attinente alla allegata impossibilità sopravvenuta della prestazione occorre rilevare che, al fine di determinare l’estinzione (o sospensione, n.d.r.) dell’obbligazione e la risoluzione (o sospensione, n.d.r.) del contratto, deve sussistere il requisito della non imputabilità, nel senso che ex artt. 1218 e 1256 c.c. il debitore deve trovarsi nell’impossibilità di eseguire la prestazione in assenza di colpa riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione” (Tribunale Novara, 12 ottobre 2009). “L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, idonea a liberare dall’obbligazione o ad esonerare da responsabilità per il ritardo, deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto ed alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà ma in un impedimento obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto” (Tribunale Treviso, 31 ottobre 2013). “Il factum principis o la forza maggiore quali atti di autorità o quali fatti sopravvenuti risultano non imputabili all’obbligato ove costituiscano impedimenti esterni ed ineludibili che sfuggono al controllo dell’obbligato” (Tribunale Bari, Sez. II, 05 maggio 2014). “In materia di obbligazioni l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al contratto” (Tribunale Nola, Sez. I, 15 gennaio 2018). Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale del principio di forza maggiore giova verificare se la pandemia contraddistinta dalla denominazione Coronavirus o CoViD-19 rappresenti quell’evento sopravvenuto, straordinario ed imprevedibile che integra la causa di forza maggiore. A nostro modesto parere già la pandemia in sé costituisce causa di forza maggiore trattandosi di evento imprevedibile e straordinario. Tale concetto vieppiù rafforzato dalle necessarie misure restrittive adottate dal Governo nazionale e da quelli regionali che, di fatto, hanno esautorato l’esercizio delle libere professioni, di molteplici attività autonome e di impresa medio piccola. Tali categorie hanno, di fatto, raggiunto il reddito zero e, di certo, non è misura sufficiente l’aiuto statale di Euro 600,00 soprattutto se consideriamo, come dobbiamo considerare, che tali categorie, nella normale dinamica di esercizio della professione, dell’attività autonoma o di impresa hanno spese fisse (locative e di fornitura ad esempio) da sostenere e spesso hanno fatto ricorso a forme di finanziamento con gli istituti bancari che esulano dalle figure (mutui prima casa ad esempio) per le quali il Governo centrale ha previsto la sospensione dei pagamenti. In ragione di quanto precede riteniamo che il richiamo alla causa di forza maggiore ai fini della sospensione temporanea dei pagamenti possa essere invocato proprio da quelle categorie che a seguito delle misure restrittive resesi necessarie in conseguenza della pandemia di fatto non percepiscono reddito alcuno. Tali categorie, a nostro sommesso avviso, possono chiedere all’altro contraente, in genere, la sospensione temporanea della propria obbligazione in applicazione del principio di forza maggiore.