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Il danno da “uccisione” e perdita del rapporto parentale

Il danno da perdita del rapporto parentale, a seguito di uccisione, è “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, Ord. 13/4/2018, n. 9186).

Trattasi, dunque, di danno non patrimoniale da richiedere iure proprio. Quando tra il fatto illecito del terzo ed il danno sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo oltre che il danno iure proprio da perdita del rapporto parentale si potrà richiedere, iure hereditatis, anche il danno biologico conseguente all’agonia. “Il pregiudizio da perdita o lesione del rapporto parentale rappresenta una particolare ipotesi di danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà, nell’ambito della famiglia, all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 Cost.” (cfr. Tribunale di Milano, Sez. I, Sent. 29.01.2020). Si è anche affermato che tale danno non patrimoniale “deve essere considerato quale categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale, danno esistenziale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. In tale contesto, è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione” (Tribunale di Taranto, Sez. III, 15.07.2019). Acclarato, dunque, che il danno da perdita parentale è una specie della categoria generale del danno non patrimoniale, risarcibile ex artt. 1223 e 2059 a seguito del fatto illecito del terzo, giova affrontare la tematica della legittimazione ad agire per il ristoro, quella dell’onere probatorio ed infine dei criteri di liquidazione. Quanto al primo degli aspetti testé evidenziati è bene precisare che, allo stato, risultano superate sia l’ancora della convivenza che quella della famiglia nucleare. La sussistenza del vincolo familiare di tipo giuridico-formale o la presenza di una situazione di convivenza non costituiscono condizioni necessarie, né sufficienti (come riferiremo trattando anche dell’onere probatorio) ai fini del risarcimento, dovendosi invece avere riguardo all’intensità del vincolo familiare dal punto di vista sostanziale. È in tale prospettiva che va inquadrata la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione allorché ha ammesso, in linea di principio, il diritto al risarcimento del danno a favore dei nipoti per la morte dei nonni con essi non conviventi (diritto ribadito pochi giorni or sono dalla Suprema Corte con ordinanza del 07.4.2020), avvenuta per fatto illecito del terzo (es. incidente stradale), in considerazione del fatto che “non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 della Costituzione, all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto” (cfr. Cass. Civ. 21230/2016; conf. Cass. Civ., Sez. III, 07.12.2017 n. 29332, Trib. Livorno, 14.11.2019 n. 1118). Analogamente è stato ritenuto soggetto legittimato al ristoro del danno da lesione del rapporto parentale, nonostante l’assenza di una vera e propria convivenza, il concepito nato successivamente alla morte del genitore (Cass. Civ. 9700/2011), il coniuge legalmente separato “attesa -oltre alla pregressa esistenza di un rapporto di coniugio nei suoi aspetti spirituali e materiali e alla eventuale sussistenza dei figli- la non definitività di tale status e la possibile ripresa della comunione familiare…” (Cass. Civ., 25415/2016), fermo restando la prova del rapporto affettivo e solidale. Il diritto a reclamare il danno da perdita parentale è stato, ulteriormente, riconosciuto in favore del convivente more uxorio per l’uccisione del partner sempre che si dimostri la sussistenza di un intenso e duraturo legame affettivo, non potendosi escludere la tutela risarcitoria per il semplice fatto di non aver articolato la relazione secondo il modello del matrimonio. Sono diversi i giudici di merito (ad es. Tribunale di Roma, Tribunale di Reggio Emilia) che hanno sostenuto la risarcibilità del danno in esame in favore non soltanto dei membri della famiglia legittima ma anche ai membri della famiglia naturale purché sussista un significativo e duraturo legame affettivo con la vittima (Tribunale di Reggio Emilia, Sez. II, 02.3.2016 n. 315, Tribunale di Roma, 4.11.2016 n. 20553). La categoria dei soggetti legittimati, inoltre, si amplia se consideriamo la vigente legislazione europea. In base all’art. 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, infatti, ogni persona ha diritto di sposarsi e formare una famiglia, peraltro, senza specificazioni in relazione al sesso dei suoi componenti. Tale articolo, tuttavia, si presta ad una duplice lettura. Da un lato, pare ricollegare il diritto di costituire una famiglia alla celebrazione formale di un matrimonio, dall’altro, la disposizione potrebbe essere intesa nel senso che, avendo coscienza di un mutato orientamento dei costumi sociali, la formazione di una famiglia, quale particella fondamentale della società, è cosa ben diversa rispetto al mero risultato o effetto giuridico di un matrimonio. Per tal via si pone il problema di capire se la formazione sociale della famiglia identifica un solo modello univoco e stabile, ancora fondato sull’elemento rituale del negozio matrimoniale, oppure si fonda nella sostanza delle relazioni della vita quotidiana, quali gli affetti e la convivenza, confermandone il carattere pre-giuridico alla luce di un rinnovato ed evoluto concetto di stato naturale. A sostegno di quest’ultima interpretazione, l’art. 8 della CEDU non pone la condizione del matrimonio, né limitazioni di grado parentale, laddove sancisce il diritto della persona ad ottenere il rispetto della propria vita familiare. Nel nostro Paese, come si è visto prima, risulta superato sia il concetto del matrimonio quale atto formale (risarcimento riconosciuto al convivente more uxorio) sia quello di nucleo familiare primario e della convivenza (risarcimento riconosciuto, ad esempio, ai nonni non conviventi e viceversa). Resta da stabilire se il diritto al risarcimento competa anche in presenza di coppia, unita o meno da un matrimonio formale, formata da componenti dello stesso sesso. Per quel che ci riguarda ed in ragione di quanto precede si ritiene che il diritto competa anche in tal caso anche se non si registrano pronunce al riguardo. Molteplici (onere probatorio) sono, invece, le pronunce di legittimità e di merito che subordinano il riconoscimento della tutela risarcitoria alla prova della effettività e della consistenza della relazione parentale. “In tema di risarcimento dei danni, in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta “iure proprio” dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno. Infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto” (cfr. Tribunale Milano Sez. VI Sent., 22/02/2019); “In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno” (cfr. Cass. civ. Sez. III, 07/12/2017, n. 29332); “Nel danno da perdita parentale gli attori devono dimostrare l’esistenza di concreti ed effettivi rapporti affettivi e sociali, frequentazione e conoscenza con il de cuius, l’intensità di tale vincolo e l’elevato grado di dolore e sconvolgimento della vita causato dalla morte dello stesso, ovvero qualsiasi elemento idoneo a giustificare le pretese risarcitorie. A tale proposito la convivenza con il de cuius non rappresenta elemento essenziale, essendo dimostrabile un forte legame parentale anche in assenza di convivenza, purché se ne fornisca debita prova” (cfr. Corte di Appello Napoli, Sez. Vi, 18.02.2020 n. 857); “In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso” (cfr. Cass. civ. Sez. III Sent., 11/11/2019, n. 28989); “Il danno da perdita del rapporto parentale si differenzia sia dal danno biologico sia dal danno morale, in quanto il pregiudizio da perdita del rapporto parentale, da allegarsi e provarsi specificamente dal danneggiato ex art. 2697 c.c., rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo, e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita” (Tribunale Ravenna Sent., 07/11/2019). Relativamente alla liquidazione di tale danno, trattandosi di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. si è precisato che la liquidazione avviene: “in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata” (cfr. Cass. Civ. Ord. n. 907 del 2018). In tale ottica, il Giudice di Legittimità ha costantemente rilevato come “ognuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in relazione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto da allegare e dimostrare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza)” (cfr. Cass. Civ. n. 14655 del 2017; Cass. Civ. n. 9231 del 2013). Il danno subito, in buona sostanza, deve essere personalizzato (Cass. Civ. n. 1203 del 2007) e “non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal Giudice in ordine all’apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona,  dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità del giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale la S.C. riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salva l’emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l’abbandono” (cfr. Cass. Civ., n. 12470 del 2017). Da ultimo, peraltro, il Tribunale di Roma, Sez. III, 9 aprile 2018, ha mosso specifici rilievi alla Tabella del Tribunale di Milano del 2018 con riguardo alla sua effettiva capacità di ristoro del danno da perdita parentale, preferendo applicare le proprie Tabelle. In conclusione, dunque, per far luogo al risarcimento del danno da perdita o lesione del rapporto parentale, occorre il fatto illecito di un terzo e la sussistenza, da allegare e provare da parte di chi agisce, del rapporto affettivo e/o parentale.

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