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Danno da perdita del rapporto parentale in favore del nipote: il requisito della convivenza

Con la sentenza n. 29332 del 07/12/2017 si attesta un significativo cambio di rotta da parte della Corte di Cassazione in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale da “perdita del rapporto parentale” anche in favore dei nipoti non conviventi con la vittima;

difatti, se in precedenza “la convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi”, era ritenuta il requisito minimo e/o indispensabile per accordare la pretesa risarcitoria derivante dalla perdita del rapporto parentale, con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha definitivamente svincolato il ristoro del danno de quo dal presupposto della convivenza; il caso prende le mosse da un sinistro stradale mortale cui è conseguita l’azione giudiziale della moglie e dei figli della vittima, questi ultimi anche in nome e per conto dei rispettivi figli minori di età; il Tribunale investito della questione, riconosciuta la responsabilità del conducente nella determinazione del sinistro lo condannava, in solido con la Compagnia assicuratrice, al ristoro del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale escludendo però dai beneficiari il solo nipote non convivente con la vittima. La Corte di Appello confermava la decisione del giudice di primo grado richiamando il consolidato principio per cui “la lesione da perdita del rapporto parentale subita da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare come nel caso di specie, è risarcibile ove sussista una situazione di convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela anche allargate, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario”. Tuttavia, il ricorso per Cassazione ribaltava l’esito dei precedenti gradi di giudizio statuendo che “In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno”. Il provvedimento richiamato prosegue il cammino già tracciato da altra precedente, parimenti significativa, pronuncia della Corte (Cass. Civ. Sez. III, 20/10/2016, n. 21230) per la quale “il rapporto affettivo deve essere riconosciuto come legame presunto che legittima il risarcimento per la perdita familiare, a prescindere dal rapporto di convivenza, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”; l’importante rilettura, costituzionalmente orientata, del rapporto nonno-nipote ha consentito di sancire la preminenza circa l’effettività e l’intensità del rapporto, rispetto alla sussistenza della mera situazione di convivenza, elemento utile ai fini probatori ma non indispensabile; per chi agisce in giudizio sarà difatti dirimente, perchè venga accordata la pretesa risarcitoria azionata, allegare in modo appropriato tutti gli elementi da cui desumere la sussistenza del pregiudizio subito, non limitandosi ad enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche.

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